Scarperia, la città dei ferri taglienti
A Scarperia, fin dal Medioevo, si forgiava il ferro per farne lame taglienti. Documenti del xv secolo, parlano addirittura di un apposito “Statuto dei coltellinai”, contenente le norme a cui dovevano attenersi gli artigiani del ferro di Scarperia. Lo statuto dava indicazioni in merito ai materiali da impiegare e ai rapporti dei maestri con i lavoranti e conteneva una norma che dichiarava il mestiere tramandabile solo di padre in figlio. Fra XVI e XVIII secolo ci fu un grande sviluppo dell’attività produttiva di armi, a causa del ruolo strategico ottenuto da Scarperia come presidio a difesa del territorio mugellano e del granducato.
In quest’epoca si fabbricavano coltelli in varie fogge, sia come utensili, sia come armi (pugnali, lance). Oggetti simili, ma fortemente diversi per uso e significato sociale: una necessità il primo, uno status symbol il secondo. Il coltello aveva largo uso: era lo strumento delle classi popolari e contadine, serviva per lavorare, mangiare e difendersi e se ne producevano grandi quantità a basso costo. Accanto a questa produzione c’erano poi i coltelli destinati alle cucine delle classi signorili, più accurati e raffinati nelle fogge, nella lavorazione e nei materiali. Nella seconda metà del XVIII secolo il Mugello fu interessato da trasformazioni territoriali ed economiche a seguito della creazione di una nuova direttrice di collegamento con Bologna: l’apertura del passo della Futa (1752) provocò uno spostamento della viabilità preferenziale tagliando fuori Scarperia, che perse la posizione privilegiata sugli assi viari principali verso il Nord Italia.
La novità portò implicazioni negative sull’economia locale. I mercanti, che per secoli erano passati da qui e si erano riforniti di lame d’ogni tipo, preferirono infatti altre produzioni europee, più convenienti e di più facile approvvigionamento.
Con la costituzione del Regno d’Italia, che riunì tanti piccoli stati in un unico tessuto che favorì la circolazione delle merci, ci fu un nuovo incremento della produzione. Nella seconda metà dell’Ottocento le botteghe di Scarperia parteciparono alle esposizioni nazionali e internazionali, dove ottennero riconoscimenti significativi e medaglie. Si trattò di un periodo di particolare sviluppo che consentì tentativi di modernizzazione nel sistema produttivo e nella vendita. È del 1874, infatti, la costituzione di una prima Società cooperativa dei ferri taglienti che introdusse lo sfruttamento dell’energia a vapore, seguita da una più fortunata Società cooperativa per la fabbricazione dei ferri taglienti a Scarperia, del 1889.
All’inizio del Novecento il settore contava 46 botteghe con 221 lavoranti, ma proprio nel momento di maggiore espansione del settore una legge del 1908 limitò drasticamente la misura delle lame dei coltelli a serramanico, quelli che si potevano portare liberamente in tasca e che rappresentavano il prodotto principale della produzione di Scarperia. Da allora la produzione di “lame” subì un progressivo declino.
Negli anni venti del Novecento a Scarperia si trovano ancora botteghe artigiane significative come quella di Torquato Tonerini, ma nei decenni successivi e con la seconda guerra mondiale l’attività si riduce notevolmente, sia a causa della mancanza di adeguamento tecnologico delle imprese che per lo scarso rinnovamento dei prodotti. Dai laboratori uscivano quasi unicamente modelli regionali e tipici come la zuava, il “tre pianelle”, i mozzetti e il palmerino, un antico coltello da scrivania. Intorno a questa storica produzione nasce la gara di lancio dei coltelli che si svolge in occasione della tradizionale festa del Diotto, e che consiste nel lanciare sei coltelli a una distanza di 4 metri contro un bersaglio di legno disegnato a cerchi concentrici. Questo filone tradizionale, cui si affianca oggi una produzione estremamente diversificata, ha trovato negli ultimi anni una vasta rivalutazione. I coltelli di Scarperia oggi sono molto apprezzati perché frutto di una produzione artigianale e limitata di altissima qualità, erede dell’antica laboriosità dei maestri ferrai.