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Una storia con-creta: tutti i volti dell’argilla in Toscana (1° parte)
- Articoli
- 28 Novembre 2013
“Ma è solo terra!”: non ditelo a chi lavora uno dei materiali più duttili e versatili dell’artigianato artistico toscano: l’argilla
Sarà perché è sempre sotto i nostri piedi e ci giochiamo fin da bambini. Sarà che è facile da estrarre e non costa molto. Sarà che basta una leggera pressione delle dita per modellarla e, fintanto che è “cruda”, può essere lavorata all’infinito.
Ma la creta è un prezioso alleato della fantasia, la fedele compagna di scultori alle prime armi ed esperti ceramisti.
Non vogliamo qui entrare nei dettagli tecnici, ma esplorare differenze, affinità e specifiche caratteristiche delle principali tipologie di ceramica artistica toscana.
1) La terracotta invetriata della Valdichiana = Attraverso un processo simile alla fossilizzazione, gli impasti argillosi acquistano una straordinaria resistenza. Il Vasari sintetizza così questa particolare tecnica: “una coperta d’invetriato addosso, fatto con stagno, terra ghetta, antimonio et altri minerali e misture, cotte al fuoco d’una fornace a posta […] faceva l’opere di terra quasi eterne”. E aveva ragione il Vasari a parlare di eternità: le ceramiche che ancora oggi possiamo ammirare su edifici storici, porticati e chiese hanno più di 600 anni e non hanno risentito del tempo che passa né delle intemperie.
La storia vuole che i della Robbia affinarono la tecnica e custodirono a lungo l’alchimia di questa misteriosa lavorazione. In realtà non era tutta farina del loro sacco: si trattò di un lungo “passaparola” che dall’Oriente raggiunse l’Europa tramite i bizantini, i romani e i mori. Ciò che ha reso questi artisti tanto famosi è…che pensarono e agirono da artisti. Elevarono una lavorazione legata ad utensili e oggetti funzionali a qualcosa di più impalpabile e nobile. Qualcosa che si traduce ancora nella ricerca espressiva degli artigiani della Valdichiana.
A partire dal ‘700 la produzione locale di terrecotte si è svincolata da finalità esclusivamente pratiche per dedicarsi a forme e moduli ornamentali più sofisticati. Gli esemplari dunque si distinguono per: uno stile decorativo affine alla tradizione iconografica orvietana e viterbese (graticci, volute, geometrie, motivi vegetali e raffigurazioni animali), una prevalenza di tonalità giallo napoli, verde ramina, bruno manganese, ornati a traforo e a rilievo.
2) Il cotto dell’Impruneta = La ricetta è semplice: basta impastare argilla imprunetina, acqua e sabbia. Ma la magia avviene dopo, durante le fasi di pressatura, essiccamento e cottura. Basta la combinazione di 4 elementi, acqua, terra, aria, fuoco, per creare un prodotto completo: resistente agli urti, alle alte temperature, al gelo, agli sbalzi termici, al salmastro e al cloro, incombustibile, adatta a sostenere ampie misure volumetriche e dall’inconfondibile colore. Un rosso che si stempera nell’arancio e nel rosa.
Fin dal Medioevo nel territorio dell’Impruneta assistiamo alla specializzazione nella fabbricazione di orci senza bocche a versatoio, brocche e anfore per contenere ingenti quantità di olio e vino, embrici, mattoni, coperture dei tetti, pavimentazioni. La tecnica più praticata era quella “a colombino” (la sovrapposizione di cordoncini di argilla) “a calco” (la pressatura dell’argilla contro la parete interna della matrice). Ad oggi l’artigianato imprunetino preserva l’equilibrio estetico e funzionale dei manufatti in cotto: conche per giardini, fioriere, vasi da limone, ornamenti per esterni, scale, rivestimenti e statue.
3) La maiolica di Montelupo = Questa particolare tipologia di terracotta smaltata ha rappresentato nel Rinascimento lo status symbol di numerose casate nobiliari. Medici, Pucci, Antinori e Strozzi esibivano la propria opulenza attraverso i serviti da mensa di Montelupo e novelli sposi dal sangue blu adornavano le mense con stoviglie finemente istoriate. Ma i vasai locali rifornivano anche gli speziali, la potente farmacia di S. Maria Novella e numerosi conventi del comprensorio fiorentino.
La ricchezza di stili di lavorazione e le scelte artistiche che contraddistinguono queste maioliche risiedono nella collocazione geografica di Montelupo. La vicinanza della via Francigena e dei porti pisani generò infatti una fitta rete di influenze culturali e rielaborazioni di elementi iconografici:
- ad una fase più arcaica risalgono gli stilizzati decori fitomorfi e geometrici dal caratteristico colore verde e marrone
- la tradizione ispano-moresca imprime una tendenza ornamentale più scenografica e colorata. Il verde e il cobalto su fondo bianco, motivi a penna di pavone, arabeschi floreali e vegetali, nastri, palmette che richiamano i tappeti medio-orientali.
- più legate all’ambiente rinascimentale italiano sono gli ornati a “grottesca“: figure umane, animali, stemmi, sigle, paesaggi collocati nei punti focali (sporgenza centrale e bordi). I colori sulle superfici aumentano e si intensificano: giallo ambra, violetto e tutte le sfumature del blu.
- ma è nel ‘600 che il soggetto dell’ “arlecchino” segnerà il successo della produzione di Montelupo. Si tratta di caricature, maschere bizzarre, personaggi della cultura popolare che si ricollegano ad allegorie e interpretazioni ironiche e scanzonate della vita.
Tante sfumature, forme, caratteristiche, storie e leggende: è facile perdersi in questo labirintico microcosmo del “fatto a mano”. Ma è anche un primo approccio al favoloso mondo della ceramica toscana: vi stupirete di quanti altri dettagli emergeranno negli specifici itinerari. Vi diamo appuntamento al prossimo post per proseguire insieme questo viaggio.
Nel frattempo potete rispondere ad una nostra curiosità: cosa vi colpisce di più in una ceramica? Quale genere preferite?